top of page

Ma cos'è la soddisfazione del dipendente?



Mi sto facendo questa domanda e arrivano risposte stereotipate legate a modelli di employee satisfaction di cui nessuno è mai riuscito a misurare la validità. Più soldi? Più benefit che si traducono sempre in più soldi? Status symbol? Roba superata, forse…


Perché anche qui nessuno ha mai provato una correlazione diretta tra aumento di “corresponsioni materiali” e maggiore produttività del dipendente. E soprattutto: il dipendente, si è veramente sentito più motivato? Per quanto tempo?


D’accordo, ci sono anche altri elementi più immateriali nella motivazione di un dipendente. Ad esempio il suo coinvolgimento e tanti altri parametri di organizzazione aziendale (la parte più strutturale dell’azienda).


I rapporti umani

Ma è soprattutto importantissimo l’aspetto di “clima” o atmosfera aziendale, come si voglia definire, che è in sostanza strettamente collegato alle relazioni umane.

E qui entriamo in un terreno sempre più volatile e sfuggente, soprattutto per noi che ci occupiamo di Ben Essere in azienda. Come si fa a rendere felice un dipendente che sparerebbe volentieri al suo capo o al suo collega di open space? Lo licenziamo? Licenziamo il suo collega? Forse li dovremmo licenziare tutti. O forse, il problema sta nell’atavico dilemma dell’essere umano nato come essere sociale, ma sempre profondamente in conflitto fra le idee estreme di “amico/nemico, bianco/nero, buono/cattivo, yin e yang, ecc.


Chi sa cosa rende il dipendente più felice/soddisfatto/motivato?

Ma se vogliamo gratificare un dipendente e renderlo più motivato e quindi più produttivo per l’azienda, secondo voi, a chi dovremmo domandare quali azioni potremmo porre in essere?


L’azienda classica, oltre agli incentivi economici e di carriera, si inventerà sempre nuovi benefit di ogni forma e natura, decisamente sempre più avanzati, come ad esempio la formazione. Spesso una formazione calata dall’alto, in un approccio top down teso ad impartire nuovi concetti più moderni di gestione aziendale. Ma esistono davvero aziende che sono in grado di consentire un’applicazione pratica di quanto appreso? Un dipendente sarebbe motivato nella possibilità di avviare nuovi progetti e sperimentazioni fuori dalla routine. Raramente è possibile e questo diventa una sorta di boomerang in cui l’azienda spende soldi per formare persone incastrate nei loro ruoli, procedure, relazioni e posizioni. E a loro volta queste persone aggiungono un ulteriore elemento di frustrazione alla loro motivazione già boccheggiante.


Ma allora proviamo a chiedere al dipendente cosa lo renderebbe più motivato? In un certo senso, a rigor di logica, questo sarebbe l’approccio più sensato. Ci potrebbe chiedere un aumento, una promozione, ancora formazione, maggiore coinvolgimento, il torneo aziendale di calcetto e tante altre cose, in cui la fantasia potrebbe sbizzarrirsi a briglia sciolta.


Ma ancora una volta. Siamo sicuri che accontentando il dipendente, come una sorta di lampada di Aladino in cui l’azienda è il genio prodigo di regalie, questo sia poi veramente felice, motivato e quindi più produttivo per l’azienda? E se il dipendente fosse preda di un’illusione nello sfregare la sua lampada? Sarà che il torneo di calcetto non sempre placa la voglia di eliminare fisicamente il tuo capo o il tuo collega? Difficilissimo dare una risposta in numeri. Forse si, in un primo momento, ma per quanto tempo?


Magari sarà più felice e anche più fedele. Ma l’azienda non saprà mai se sarà anche più produttivo e in che misura. E allora si ricomincia andando sempre a tentoni. Si ripresenta il problema della misurabilità, della correlazione più o meno valida tra la sua richiesta e la sua felicità/motivazione/produttività/fedeltà.


Ad ogni nuova crisi delle condizioni al contorno, tutti i vecchi problemi si ripresentano rinvigoriti, lo scoraggiamento ritorna imperante e l’ufficio risorse umane che guarda i monitoraggi di clima aziendale parte per una nuova emergenza…


Tutto è psicologia

E allora la risposta sta ancora una volta sta nella psicologia del benessere (non quella dei disturbi clinici, per intenderci).Nella psicologia per “persone normali”, come diceva lo psicanalista Frederick Perls, uno dei fondatori della Gestalt. Nel rendere più flessibile il dipendente nell’interpretazione del suo ruolo, nel modo in cui riempie quella casella (la posizione aziendale) e realizza le quotidiane negoziazioni (transazioni) con i suoi fornitori e clienti interni ed esterni, rispettivamente a monte e a valle dei processi in cui è coinvolto.


In concreto la soluzione dei problemi di conflitto, demotivazione, scarsa produttività, assenteismo, ecc. sta nel lavoro sull’individuo con strumenti di integrazione dell’Io quali counselling e coaching aziendale, tecniche di rilassamento, meditazione, attività di integrazione mente-corpo e tante altre attività terapeutiche che il dipendente non conosce o di cui non conosce l’utilità, l’effetto sulla sua felicità /motivazione/produttività/fedeltà e che quindi non potrà mai chiedere all’azienda come benefit aziendale.


Non a caso, la presenza degli psicologi in azienda è sempre più massiccia e sono sempre più numerosi i manager con responsabilità di risorse umane a frequentare corsi di counselling e coaching e di gestione delle risorse umane nel senso più ”psicologico” del termine


Questi hanno compreso il nodo fondamentale dei problemi che affrontano giornalmente con i loro dipendenti: il cambiamento di percezione degli eventi non può mai avvenire attraverso un incentivo economico, un cambio di posizione o un nuovo corso di formazione, ma solo nella relazione (di aiuto) condotta con una certa disposizione, visione dell’essere umano e determinate tecniche.


Il corpo e la mente

Laddove la relazione viene rifiutata supplisce il corpo, che interagisce continuamente con la nostra mente e che, attraverso un allenamento di “integrazione corpo-mente”, induce modificazioni significative nella nostra psiche.


Testimonianza di Monica, impiegata, appena all’inizio di un ciclo di incontri di Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson, una delle tante tecniche in cui il lavoro sul corpo si riflette sulla mente:


"venivo sempre coinvolta in discussioni e litigi tra 2 colleghi e la cosa mi frustrava molto. Per la prima volta dopo tanti anni sono riuscita a rimanerne fuori in modo molto naturale e senza provare alcun senso di colpa. E mi sono domandata: ma è possibile che per aver mosso un piedino in su e in giù per alcune volte sia potuto accadere un miracolo come questo?”.


Ed è proprio questo il genere di miracolo che vogliamo far accadere con la diffusione del “Ben Essere Formativo”. Miracoli che si realizzano e si contagiano come un virus virtuoso, dove tutto cambia perché si vede tutto sotto una luce nuova, diversa, che rende possibili risposte e cambiamenti impensabili con la sola razionalità.


Il grande burattinaio

Sarà dunque compito dell’ufficio risorse umane fornire, diffondere, stimolare con una comunicazione massiccia e incentivazioni di ogni tipo, la pratica di queste attività, in modo integrato. Perché l’essere umano è per sua natura unico e le sue caratteristiche di personalità si adattano meglio a certi tipi di interventi piuttosto che ad altri. Attività che non possono rappresentare interventi spot, ma parte integrante del lavoro dell’azienda con i suoi dipendenti in un long life growth path in cui ognuno di noi deve impegnarsi per raggiungere l’obiettivo dell’autorealizzazione. E il mito da sfatare è che questo si possa realizzare solo fuori dall’ambiente di lavoro o nonostante questo.


Non è così. Felicità personale e professionale possono andare di pari passo a patto che si realizzi un lavoro a monte, sulla nostra percezione degli eventi (i nostri occhiali con cui deformiamo gli eventi a nostro uso e consumo) e sulla nostra capacità di rispondere ad essi in modo nuovo, diverso, appropriato nel qui ed ora. In sostanza, apprendere ad Agire e non a Reagire in modalità fisse, rigide e desuete.




E la misurabilità?

Lampante e evidente grazie ai classici KPI (Key Performance Indicator) che misurano l’assenteismo, la % di obiettivi raggiunti, la produttività, ecc. Ma è poi fondamentale che venga misurata e monitorata la felicità percepita, attraverso ricerche longitudinali, in cui la voce del dipendente diviene il termine di valutazione principale dell’efficacia dei nostri interventi, nonché della redditività degli investimenti nell’”evoluzione culturale delle persone”.


Valutazione che deve essere in stretta connessione con l’incremento del business aziendale grazie ad un algoritmo che lo predice con affidabilità statistica per ogni aumento unitario del punteggio di soddisfazione dei dipendenti.


Chiedetemi quale!


Perché come dice Richard Branson, "i clienti non vengono per primo, sono i nostri dipendenti a venire per primo. Se ti prendi cura di loro, loro si prenderanno cura dei tuoi clienti".

In primo piano
Articoli recenti
bottom of page