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Il corpo in azienda ma non solo...


Si sente parlare sempre più spesso di integrazione mente-corpo in diversi ambiti, ma è piuttosto faticoso padroneggiare un concetto così astratto, se non se ne fa un’esperienza diretta. Quindi cercherò di facilitarne la comprensione in modo graduale, evitando di dare definizioni a priori.


La nostra società poggia sulla razionalità, essendo fondata sulla possibilità di dare un’evidenza scientifica a qualsiasi assunto, teoria o proposta rivolta alla comunità “ufficiale” di riferimento.



Al tempo stesso si sente parlare di olismo, di psicosomatica, di approccio Bio-psico-sociale, di PNEI (psico-neuro-endocrino-immunologia) e molte altre discipline in vari ambiti che rimandano all’evidenza che l’essere umano non può prescindere da questa importante parte di sé, il corpo per l’appunto, anche nella sua funzione di Essere produttivo socialmente adattato.


Ma si sa, tutti abbiamo un corpo

Già, è proprio così. Ma forse non tutti sanno che questo corpo è vissuto e sentito da ognuno di noi in modo completamente diverso. C’è chi lo ama identificandosi completamente in esso o lo sente in maniera spasmodica, registrando con preoccupazione ogni suo piccolo sussulto (le persone tutto corpo...).


Chi lo detesta prendendone le distanze perché è troppo doloroso accettarlo o sentirlo, come ad esempio gli obesi, o le persone che hanno vissuto eventi traumatici su di esso (violenze o abusi).


E chi, molto semplicemente, si dimentica di lui quando è concentrato in attività ad alto contenuto mentale, salvo poi ricordarsene quando il sintomo richiama la sua attenzione.


E’ quest’ultimo aspetto quello più ricorrente e ritenuto, erroneamente, fisiologico nella nostra società.

Vediamo perché.


Il corpo ci parla, ma ascolta anche…

Anche se noi lo diamo per scontato (il corpo), in realtà esso ci lancia segnali inequivocabili di malessere a causa di questa nostra “separatezza”. La psicosomatica è ormai entrata nel linguaggio quotidiano e ha fatto presa il concetto innegabile per cui ogni tensione fisica è generata inequivocabilmente da una tensione mentale o psichica.


Dolori alle spalle in determinati momenti non sono più semplici contratture da mouse, dovute a posture scorrette. Lo sono sicuramente, ma il loro manifestarsi non è più un evento casuale slegato dalle circostanze di vita in cui si inserisce.


E’ quindi aumentata la capacità di autodiagnosi delle persone in senso psico-somatico. E questo è un segnale importantissimo sulla via dell’assunzione di responsabilità riguardo alla nostra salute.


E anche la modalità in cui le persone affrontano tali disagi fisici è emblematica di un cambiamento di paradigma rispetto alla percezione di come funzioniamo. Se prima la totalità di noi si rivolgeva al medico curante per la prescrizione di un anti-infiammatorio, adesso tale pratica è sempre più affiancata, se non addirittura sostituita, da una maggiore cura di sé. In tal caso ci viene naturale imporci maggior riposo, concederci un bagno caldo, un massaggio o qualsiasi altro intervento che implichi una concezione del corpo quale risorsa di guarigione, piuttosto che cestino della spazzatura della nostra mente.


Da qui si evince la relazione bi-direzionale di tale comunicazione. Attraverso il corpo possiamo indurre cambiamenti significativi al nostro stato psichico. Ad esempio, lo yoga della risata è concepito per combattere stati depressivi, così come posture erette con lo sguardo in avanti servono allo stesso scopo. Un buon radicamento a terra con i nostri piedi saldamente ancorati al pavimento inibisce il vagare a vuoto della mente aiutandoci a rimanere centrati e focalizzati.


In sintesi, ma anche molto banalmente (perché c’è molto di più…), imponendoci determinate posture o atteggiamenti possiamo sostenere i nostri stati psichici desiderati. Ben inteso, la condizione necessaria affinché ciò avvenga è la nostra consapevolezza di essi. E questa non è sempre scontata.



Il corpo e la mente

Se adesso ci può sembrare più chiaro cosa è il rapporto corpo-mente, in realtà non è ancora chiaro il significato di “integrazione corpo-mente”, nella vita di tutti i giorni, di una persona perfettamente adattata socialmente. Se il nostro lavoro è di natura esclusivamente intellettuale, saremo necessariamente portati all’uso intensivo delle nostre risorse mentali, a discapito di quelle fisiche e, in qualche misura, anche di quelle emozionali. Nella tradizione esoterica si usa rappresentare l’essere umano “olistico”, nella sua totalità, quale soggetto di “comando” dei suoi 3 centri di funzionamento cardine: quello mentale, emozionale e fisico (quest’ultimo nella sua accezione istintuale e motoria).


Quando tali centri non sono integrati, oltre ai disagi fisici di cui abbiamo dato un esempio semplificato, si verifica una tendenza a un funzionamento psichico di tipo automatico, reattivo, piuttosto che consapevole.


Ad esempio, le relazioni in contesti lavorativi possono essere conflittuali o improntate ad una eccessiva dipendenza. Ciò a causa di proiezioni mentali in cui i vari “attori” si combattono o legano vicendevolmente in un gioco illusorio di specchi di sé.


Nella nostra cultura è implicita la visione del corpo quale luogo di deposito delle tensioni psichiche (il cestino della spazzatura…), e troviamo molto salutare qualsiasi attività fisica intensa (sportiva o sessuale), quale forma di “scarico”. E questa è sicuramente una strategia benefica, ma che, purtroppo, non induce nessun beneficio in termini di consapevolezza di sé o di armonizzazione psichica. Ciò perché in tal caso la relazione corpo-mente si traduce semplicemente in un ordinato e programmato scambio di turni in cui il lavoro fisico e quello mentale si alternano in momenti diversi della nostra giornata.


Ma allora, come si realizza l’integrazione corpo-mente (e emozioni) in una società così strutturata?

Attraverso la consapevolezza costante della loro esistenza. Quello che Gurdjieff (grande mistico moderno vissuto a cavallo tra l’800 e il ‘900) chiamava “il ricordo di sé”.


L’integrazione corpo mente in concreto

Se tale affermazione può sembrare a prima vista un’idiozia o un percorso impossibile per l’uomo moderno, per ricredersi è sufficiente rivolgerci ai contenuti di certe pratiche, più o meno new age, molto in voga nella nostra società occidentale. Ad esempio la Mindfulness.


Tali pratiche hanno come assunto di base l’attenzione consapevole e non giudicante a qualsiasi cosa avvenga nei nostri 3 centri di funzionamento: i nostri pensieri, le nostre emozioni ad essi collegate, le attività automatiche del nostro corpo: il respiro, i battiti cardiaci, i gorgoglii dei nostri visceri, le tensioni dei muscoli, ecc. Non a caso, una dei 3 momenti cardine della mindfulness è il cosiddetto “body-scan”: un’attenzione consapevole ad ogni parte del nostro corpo.


L’attenzione consapevole non significa “pensare” il nostro corpo o visualizzarlo con la mente.


Significa percepirlo profondamente.


Tale capacità di percezione, di per sé naturale, ci è però preclusa in una società come la nostra a causa della nostra cultura e della nostra educazione improntate all’uso separato delle due funzioni (fisiche e mentali).


A supplire a tale mancanza è ancora una volta venuta in nostro aiuto la saggezza orientale che, con molta semplicità, ma con una potenza inarrestabile, ha portato in occidente le pratiche dello Yoga e del Tai-chi-chuan.


Il segreto di tali pratiche consiste appunto, in un’attenzione consapevole a tutto ciò che avviene nel nostro corpo durante i movimenti che, a tale scopo, sono eseguiti con una lentezza esasperante. Ben lontani dalle performance fisiche di potenza e dinamicità a cui ci ha abituati la nostra cultura.


Un tuffo nelle profondità del nostro Essere che, non a caso, è ripreso in un altro momento cardine della mindfulness: i movimenti in consapevolezza.


In queste attività si verifica una concentrazione sul nostro corpo che impedisce alla “mente scimmia” di vagare a vuoto in un turbinio di pensieri inutili sul passato o sul futuro, imponendo l’attenzione al qui (il nostro corpo) ed ora (nel momento presente).


Tali pratiche si configurano quindi come un allenamento a riappropriarci della nostra dimensione “unitaria”. Un’attenzione alla nostra postura davanti al PC, al nostro respiro, alle tensioni delle spalle, all’appoggio sulla sedia, alla posizione dei piedi, al nostro gesticolare quando parliamo, ecc.


Sono tutti esercizi volti allo scopo di essere presenti a noi stessi qualsiasi cosa stiamo facendo. Thich Nhat Hanh, il monaco tibetano portatore del suo contributo spirituale alla società occidentale, parla di “meditazione camminata”, ma anche di una qualsiasi attività domestica fatta in consapevolezza. Ed è questo il concetto di integrazione mente-corpo.


Non a caso, in Cina, il Tai-chi-chuan viene definita “arte di lunga vita”, in quanto attività di prevenzione di qualsiasi disagio psichico o fisico.


In Occidente, possiamo ampliare le possibilità di allenamento all’integrità psico-fisica attraverso altre attività più vicino alla nostra cultura, ma contenenti gli stessi elementi di “presenza” appena citati.


Il Pilates, la Biodanza o le tecniche di rilassamento quali il Training Autogeno e il Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson, sono altrettanto benefiche e possono essere tranquillamente portate in azienda, dove la pressione psichica è alta e c’è maggiore necessità di usare le pause in modo profondamente rigenerante. Senza contare l’effetto collaterale di realizzare un team building permanente nella condivisione di uno stesso percorso intimamente “umano” prima ancora che aziendale.


“Una mente rilassata è una mente creativa”

Questo è l’assunto di base a cui un’azienda deve ancorarsi se desidera tendere, con l’aiuto delle sue risorse umane, alla competitività e alla prosperità aziendale.


Il mito dello sfruttamento “a ore” dell’essere umano è ormai tramontato dopo l’epoca della fabbrica tayloristica. La risorsa umana è chiamata a “creare”, risolvere problemi sempre nuovi, gestire relazioni proficue in ambienti competitivi.


Ma il contesto offerto in azienda è lo stesso della fabbrica tayloristica: otto ore al giorno davanti a un PC sono la traslazione dell’operaio della Ford otto ore al giorno davanti alla catena di montaggio. Con la differenza che quest’ultimo doveva eseguire mansioni ripetitive di scarso contenuto mentale.


E’ evidente che le condizioni di lavoro moderne, seppur in spazi eleganti e curati, non contengano stimoli o fattori facilitanti qualsiasi slancio “creativo”.


Ed è inutile ribadire che è solo attraverso la creatività in ambienti cooperanti che si realizza il successo e la prosperità aziendale a beneficio di tutti.


Quindi ben venga un nuovo paradigma nella concezione dello spazio-tempo aziendale, quali dimensioni al servizio della creatività umana e della crescita personale.

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